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Mary's Story

Mary ha sofferto di attacchi di perdita di coscienza per molti anni prima di imparare alcune tecniche per avere il controllo di questi attacchi. In modo simile ai pazienti che soffrono di attacchi epilettici funzionali, questi attacchi di cui soffre Mary sono stati, inizialmente, diagnosticati in modo sbagliato; nel suo caso, sono stati associati ad attacchi di blackout. 

Io mi chiamo Mary, ho 54 anni e vengo da West Lothian (UK). 

Cinque o sei anni fa ho iniziato a sentirmi molto maldestra e impacciata, sono caduta molte volte ma ho sempre pensato che questo fosse dovuto al fatto che stavo indossando tacchi alti in quelle situazioni, o stavo correndo, oppure perchè sono scivolata. Nello stesso periodo ho iniziato a soffrire di attacchi di panico e non riuscivo ad andare in luoghi molto affollati. Ho iniziato ad evitare di andare nei centri commerciali, nei cinema e nel centro città; questo ha diminuito di molto il mio “mondo”. 

Una volta, ero in vacanza in un mercato con mio marito, era molto affollato e ad un certo punto l’ho perso di vista. Sono andata in panico e non riuscivo più a respirare, mio marito mi ha visto ma, a causa della folla, non è riuscito a raggiungermi prima che io perdessi coscienza. Sono stata molto male nei giorni successivi ed ero totalmente in imbarazzo riguardo a ciò che era successo. Mi sono sentita come se stessi diventando pazza, avevo pensieri irrazionali che mi giravano per la testa (“c’erano troppe persone in quella folla e non era rimasta abbastanza aria per me”; “stavo per morire e a nessuno è importato nulla”; “ero arrabbiata con me stessa per aver lasciato che la situazione mi sfuggisse di mano”; “davo la colpa a mio marito perchè mi aveva portato in un posto troppo affollato e mi aveva messo in pericolo”). 

Quello è stato solo l’inizio, nel corso dei mesi successivi ho iniziato a perdere coscienza più spesso, a volte gli attacchi si presentavano a lavoro e spesso quando ero sola, ma questi non seguivano un vero e proprio schema. 

Ho visto il mio medico e lui, in un primo momento, ha dato la colpa alla stanchezza e allo stress, ma mi ha comunque mandato da un cardiologo per una visita. Il cardiologo mi ha visitato e ha testato la presenza di diverse patologie. Infine, grazie ai risultati ottenuti con il “Tilt table test” (test su panca inclinata), mi è stata diagnosticata la Sincope Vasovagale maligna. Il trattamento di questa patologia consisteva nell’avere un pacemaker installato nel mio cuore. Il cardiologo mi ha detto che il trattamento non avrebbe messo in pericolo la mia vita, ma l’avrebbe sicuramente cambiata. 

Arrivati a questo punto i miei familiari erano tutti preoccupati per me e mio marito non si sentiva tranquillo a lasciarmi da sola. 

E lui aveva ragione! Mi è stato messo il pacemaker, ma il primo che mi hanno inserito era difettoso, portandolo a causarmi molto dolore. Mi è stato quindi cambiato ed è stato inserito un altro pacemaker, ma questo non ha migliorato per nulla i miei sintomi. A questo punto stavo avendo attacchi 4 o 5 giorni a settimana. Ero sempre coperta di lividi e nel tempo ho dovuto aver a che fare con qualche infortunio leggero ma non mi sono mai causata un danno grave. Sentivo, però, che questo era dovuto al fatto che io avevo imparato come cadere bene nel tempo. 

Stavo comunque lavorando grazie al fatto che i miei datori di lavoro hanno fatto tutto il possibile per farmi rimanere. Dopo che è stato inserito il secondo pacemaker ho iniziato a sentire molto fastidio. È stato scoperto dai medici che il mio corpo aveva rigettato il pacemaker ed esso andava rimosso. Visto che non aveva aiutato un granchè, non ero troppo preoccupata riguardo a ciò, ma ero piú preoccupata riguardo a come la mia malattia stava progredendo. Avevo perso tutta la sicurezza nell’andare fuori da sola e non ero andata da nessuna parte da sola per più di un’anno a quel punto. Non uscivo con amici o parenti perché avevo paura di avere un attacco e spaventare le persone che erano con me, e questo mi creava molto imbarazzo. La mia vita sociale era finita, ma per fortuna mio marito ed io lavoravamo insieme e quindi ero comunque in grado di continuare a lavorare. 

Sapevo che saremmo stati licenziati a breve perché la casa protetta per cui lavoravamo stava per chiudere e io ero determinata a fare in modo di controllare che i residenti fossero spostati e sistemati a dovere nelle loro nuove case. A quel punto avevo lavorato nella stessa compagnia per oltre 15 anni e volevo essere lì fino alla fine. Quello era un periodo molto stressante e non credo che questa cosa abbia aiutato perchè a quel punto i miei sintomi erano al loro massimo. Il cardiologo mi ha detto che a questo punto lui non poteva più aiutarmi e mi ha mandato da un neurologo. 

Il neurologo mi ha detto che credeva che mi fosse stata fatta una diagnosi sbagliata e che pensava che io soffrissi di attacchi epilettici funzionali. Quando però mi ha detto che non esistevano cure magiche che potessero curare questo disturbo e che avrei dovuto provare ad aiutare me stessa a migliorare i sintomi, quando mi è stato detto questo mi sono sentita imbrogliata. La prima domanda che gli ho fatto è stata: mi sto immaginando tutto questo? Se sono io che posso migliorare i sintomi, sono io che mi causo questi sintomi? Sto facendo tanto casino per nulla? Il mio medico mi ha aiutato a capire che la malattia fosse reale e mi ha aiutato a capire cosa potevo fare per aiutarmi. 

La prima cosa che ho fatto è stata quella di riconoscere i segni, le vampate di calore, un’inspiegabile formicolio su un lato del volto e un ronzio nella mia testa, non come sintomi della menopausa come pensavo, ma erano invece segni di avvertimento di un attacco. 

Io non sono una donna stupida ma mi sono sentita molto sciocca dato che mi ci sono voluti quasi quattro anni per riconoscere questi segni premonitori. I sentimenti orribili che provavo di impotenza e inutilità erano anch’essi campanelli d’allarme. Non ho sempre questi avvertimenti ma adesso, quando li ho, mi posso sedere e ho imparato delle tecniche per aiutarmi con le perdite di coscienza per fermarle sul nascere. 

Il mio medico mi ha consigliato di provare a sopportare il più possibile i segni associati ai campanelli di allarme perché le perdite di coscienza a volte sono il modo che il corpo ha di eliminare questi sentimenti o sensazioni spiacevoli; subito non gli ho creduto, ma ho comunque provato a farlo. Ad oggi riesco a scongiurare sul nascere la maggior parte degli attacchi, questo non è piacevole ma per me è più accettabile che svenire e avere a che fare con il sentimento di fatica che ne segue. Quando sento che i sintomi di avvertimento iniziano, vado in un posto tranquillo e provo a superarli, questa tecnica non funziona ogni volta ma ho visto un forte miglioramento. 

Nell’ultimo anno ho avuto molti meno attacchi e ad oggi sono svenuta solo due volte nelle ultime sei settimane. La mia fiducia in me stessa sta crescendo e ora mi sento in grado di uscire da sola. Ho iniziato un nuovo lavoro e sto reagendo bene al cambiamento. Continuo ad evitare di andare in luoghi molto affollati e non me la sento ancora di uscire a socializzare a meno che non sia in un posto vicino e con persone che mi conoscono e che sanno cosa fare se avessi un attacco. Ho un atteggiamento molto più positivo verso la mia condizione adesso e sono in grado di darmi nuovi obiettivi ogni giorno. 

Spero che la mia storia sia di conforto ad altre persone che soffrono del mio stesso disturbo e che gli faccia capire che ci sono modi per migliorare i sintomi associati a questo disturbo.